davide palumbo

YAH ARTIST SINCE 2024

Flirt

 

Se scriverò,

scriverò testi disturbanti,

incuranti,

che ti marchiano a fuoco un segno

buono o cattivo

doloroso o salvifico.

Che inducono alla follia.

Che inseminano domande

come piccoli germogli.

Chissà chi risponderà.

 

Se reciterò,

reciterò testi insolenti,

veri da essere disprezzati

Che non cercano consenso,

non inducono a risate,

sparati come un proiettile

alla cieca in una folla.

Chissà chi ucciderà.

 

Se leggerò,

leggerò con enfasi,

fermandomi ad ogni frase che

alimenta l’inutile lussuria di

viaggiare con la mente.

E mi prenderò la briga

di saltare e di strappare

tutti i libri che io solo,

con l’arbitrio che mi vizia,

riterrò indegni, confondibili,

immondizia.

Chissà chi li raccoglierà.

 

Se fumerò,

fumerò sigari,

mi inietterò morte vera,

morte gustosa,

morte che mi assaggia, mi assapora,

questa notte.

Poi mi dice: perché mi cerchi

solo a volte?

Non lo so, rispondo io.

Cerco a volte anche la vita.

Busso a entrambe, vi corteggio.

Un po’ ci flirto.

Chissà chi si innamorerà.

 

Se crescerò,

crescerò solo dopo aver sbagliato,

dopo aver fallito,

dopo aver fatto soffrire,

dopo essermi pentito così tanto

che desidero morire.

Chissà chi mi accontenterà.

 

Se dirò addio,

dirò addio godendomi la sofferenza,

senza perdermi uno sguardo,

col terrore di un bambino

che ha paura di cambiare

il suo gioco preferito,

che non ha il coraggio di affrontare

il livello successivo.

Lo farò abbaiando come un cane

che si sente abbandonato

una mattina d’estate.

Chissà chi ritornerà.

 

E se, infine, morirò,

morirò suicida.

Perché non riesco a non pensare

che niente ha più valore della fine.

Che anche la morte,

con un po’ di fantasia,

si può rendere poesia.

Chissà chi mi piangerà.

Davide Palumbo

Atene

 

I vecchi a me

danno noia. Qui però

sono nipote

Davide Palumbo

Il gatto e il bambino

 

Amo i gatti.

Per ogni occhiata curiosa,

c’è un po’ di voglia di scappare.

Ogni artiglio per attaccare,

c’è un cuscinetto gonfio abbastanza per atterrare,

correre,

scappare.

Per non farsi male.

 

Amo i gatti,

perché quando ti usano

lo fanno sinceri,

e ti chiedono il permesso.

 

Amo i gatti,

che ignorerebbero un tramonto sul mare

per uno spago che agito nella mano,

perché, al contrario del sole, è imprevedibile

e si deve meritare.

 

Amo i gatti

perché non cercano di capirti,

ma di incuriosirsi.

E per ogni curiosità che soddisfano,

ne troveranno subito un’altra con cui imparare il mondo

e risolverne tutti i misteri in un secondo.

 

Emozionarsi come bambini e dilatare lo sguardo,

salvo poi stancarsi,

abituarsi,

e ricercare un nuovo traguardo.

 

Amo i gatti,

perché con le loro stramberie,

alla fine,

mi insegnano il mondo.

Che va vissuto,

inventato,

secondo per secondo.

 

Amo i gatti,

perché sono come questa poesia.

Confusa, slegata,

una follia.

Ma almeno è mia.

Davide Palumbo

La maledizione degli ironici

 

Mi chiedi perché

non scrivo di te

E so che non scherzano

i tuoi sentimenti

mentre scherza

la tua bocca.

Che ti muovono da dentro come dei burattinai

 

Echi del passato

Dici

Una partita con me stessa.

È una tenera bugia:

Non si smette mai né di giocare

Né di invitare altri a partecipare.

 

E se gioco da avversario

O da nemico

Lo decidi solo tu.

 

È un enigma ciò che dici

Più di ciò che pensi.

È la maledizione

degli ironici.

Ti tradiscono la voce

E la taranta del tuo sguardo

È la condanna

dei sinceri.

 

Sono forse

la tua droga?

Ti avveleno dall’interno

mentre tu

mi spingi in vena?

Sei la vittima

di un mio inganno?

 

Ti sei unita alla partita

che gioco con me stesso.

Ma se giochi da avversario

O da nemico

Lo decido solo io.

Davide Palumbo

BIOGRAFIA

“Se è vero, come penso, che il mondo è un’illusione, le storie sono l’unico modo per dialogare con esso, perché sono fatte della stessa materia”. Da bambino, rannicchiato nel suo sgabuzzino, Davide trovava nella scrittura un modo per fare questo: illudersi. Immaginare. Creare nuove finzioni per arricchire il suo mondo. E, in questo modo, conoscere sé stesso. Per un periodo piuttosto lungo, poi, si è abbandonato, perso negli intricati vicoli di percorsi che qualcun altro aveva tracciato per lui, troppo perfetti per essere suoi. Sarebbe sbagliato dire che ora è uscito da questo labirinto, e sarebbe sbagliato dare per certo che vi uscirà, ma sicuramente ha ritrovato gli strumenti per cercare la via. Per “tracciare il suo percorso”. Frase dopo frase. Illusione dopo illusione.

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